LA FINE DEL GENERO DEL REGIME

L' 11 gennaio 1944 venne fucilato Galeazzo Ciano. Figura di spicco del regime fascista, genero di Mussolini. L' 8 gennaio, nella sala di Castelvecchio a Verona, iniziò il processo intentato dalla Republica Sociale nei confronti dello stesso Ciano e di altre cinque persone quali De Bono, Marinelli, Gottardi, Pareschi e Cianetti con l' accusa di tradimento dell' Idea. Il 10  gennaio dopo le ore 13 venne emessa la sentenza: 30 anni per Tullio Cianetti, condanna a morte per Ciano e gli altri.  La moglie Edda Mussolini tentò di salvare il marito facendo pressione verso il padre, ma fu cosa vana. I condannati vennero condotti il giorno dopo nel poligono di Procolo e fucilati. Per capire il motivo di questo tragico epilogo occorre ripercorrere la parabola di Galeazzo Ciano. Egli venne chiamato "il genero del regime", poiché nel 1930 allora ventisettenne sposò Edda, la primogenita di Benito Mussolini. Figlio di Costanzo, conte di Cortellazzo, era un giovane brillante, generoso e disponibile, caratterizzato da gusti letterari vari tra cui il teatro. Il suo sogno era quello di diventare autore teatrale. Studente di giurisprudenza lavorò come giornalista presso testate antifasciste come Il Paese e il Mondo di Giovanni Amendola. Il padre, ufficiale di marina e poi aderente al partito fascista, spinse perché  il figlio indirizzasse la propria vita verso la carriera diplomatica. Nel 1933 divenne capo ufficio stampa di Mussolini e due anni dopo ministro della Propaganda. Si interessò allo sviluppo della radiofonia e ai piani della costruzione della città del cinema. Nel 1936 divenne, molto invidiato, ministro degli Esteri. A differenza di altri accesi e fanatici fascisti dell' epoca egli mantenne una sua sobrietà interpretando il fascismo come un elemento per rafforzare il nazionalismo italiano, all' interno di un' ovvia dimensione politica per rafforzare l' Italia. Non si riscontra un peso ideologico sostanziale, nonostante la cifra politica di Ciano si individui nell' opportunismo. Un uomo politico che si sarebbe adattato all' Italia liberale e a quella post-fascista. Anti-tedesco, insieme a Dino Grandi e Giuseppe Bottai espresse molti dubbi sull' entrata in guerra e sulla Germania. Nonostante questo si accodò alle fatali decisioni irrevocabili del Duce, pronto ad accogliere un' eventuale vittoria tedesca della guerra. Dopo l' entrata in guerra e successivamente le sconfitte che subì l' Italia sopragiunsero gli avvenimenti del 25 luglio 1943. Venne convocato il Gran Consiglio del Fascismo e l' ordine del giorno di Dino Grandi chiedeva che Mussolini rimettesse il mandato nelle mani del Re. Dopo un' estenuante notte di accese discussioni fino alle due e mezzo, il Gran Consiglio sfiduciò Mussolini con 21 voti a favore 7 contrari e uno astenuto. Tra i voti contro il Duce ci fu anche quello di Galeazzo. L' ottica in cui si concretizzò quel voto fu l' ennesimo prodotto del fiuto di Galeazzo che immaginava uno spazio nella politica post-fascista per chi come lui contribuì alla caduta del regime. Dovette però fare i conti con la propria famiglia. Il Duce venne arrestato. Grandi riuscì a riparare a Lisbona, Bottai presso il Vaticano. Ciano poté salvarsi come Bottai in Vaticano visto il suo ultimo incarico di ambasciatore presso la Santa Sede. Ma ciò non si realizzò, seguì la moglie nell' ambasciata tedesca e fu portato a Monaco in Baviera. Dopo la proclamazione della Republica Sociale venne istruito il processo ai traditori e quindi venne trasferito a Verona. Qui avvenne la sua fine. Un uomo che seppe cavalcare tutte le opportunità che la vita gli servì, aderendo anche ad uno sciagurato regime che invece di dargli la gloria che inseguiva lo trascinò negli abissi della Storia.

Ettore Poggi

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IL WATERGATE

Washington 17 giugno 1972. Sulle rive del Potomac sorge il complesso di edifici di lusso che hanno assunto il nome di Watergate. Verso l’ una di notte Frank Willis, una guardia giurata di 24 anni, notò del nastro adesivo sulle porte che ne impediva la chiusura. Lo rimosse e poi quando ripassò di li lo ritrovò al suo posto, si insospettì e chiamò la polizia. Il Watergate conteneva gli uffici del Cominato Nazionale del Partito Democratico. In quel periodo si stava svolgendo la campagna elettorale che sarebbe culminata nel novembre dello stesso con la straordinaria rielezione di Richard Nixon a presidente degli Stati Uniti. Quando la polizia entrò nell’ edificio sorprese cinque uomini Virgilio González, Bernard Barker, James W. McCord jr., Eugenio Martínez e Frank Sturgis nell’ atto di sistemare apparecchi di intercettazione e trafugare documenti del partito democratico. Queste cinque persone erano state inviate a compiere l’ infrazione dagli uomini del Comitato di Nixon. Il piano originariamente si chiamava operazione Gemstone e consisteva nel raccogliere informazione dagli avversari democratici per condurre la campagna elettorale a proprio favore. Le stranezze di quello che l’ addetto stampa del Presidente liquidò come un “furto di terz’ordine” incuriosirono due giornalisti del Washington Post, Carl Bernstein e Bob Woodward. I quali nella loro incredibile indagine ebbero modo di risalire  a tutti gli uomini coinvolti nello scandalo fino al presidente Nixon. Il contributo maggiore fu reso possibile da una fonte preziosa e segreta. Fonte che prese il nome in codice di Gola Profonda la cui identità fu solo rivelata nel 2005, il suo nome Mark Felt. Questo terremoto politico portò alle dimissioni di Nixon il 9 agosto 1974. Il suo posto venne preso da Gerald Ford, l’ unico presidente Usa non eletto nella storia. Ford fu aspramente criticato quando concesse il perdono presidenziale a Nixon seppure quella fosse una funzione prevista dalla costituzione americana. Il personaggio dell’ inizio di questa storia, Frank Willis, perse il lavoro, visse di stenti e morì in povertà nel 2000. Da quel momento in poi il Watergate è l’ emblema giornalistico di qualunque caso torbido. Il suffisso gate venne poi accostato alle parole chiave degli scandali futuri.

Ettore Poggi

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IL SEQUESTRO MORO

Roma, ore 9.02 di giovedì 16 marzo 1978 avvenne il rapimento di Aldo Moro. Il presidente della Democrazia Cristiana si stava recando in Parlamento per votare la fiducia al governo Andreotti, appoggiato anche dal PCI. L’ onorevole era a bordo di una Fiat 130, scortato da due agenti,  seguita da un Alfetta bianca con altri agenti della scorta. L’ agguato avvenne in prossimità dell’ incrocio tra via Fani e via Stresa, nel quartiere Trionfale. Gli esecutori del piano crimale furono 19 elementi legati alle Brigate Rosse. Essi disposero di due vetture 128 e una 132. La prima 128 guidata da Mario Moretti frenò all’ improvviso provocando il tamponamento della 130 con a bordo Moro e che a sua volta fu tamponata dall’ Alfetta. Una seconda 128 di Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri si bloccò di traverso dietro l’ Alfetta intrappolando la colonna. Il gruppo di fuoco composto da Valerio Morucci, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari e Franco Bonisoli entrò in azione, sul lato sinistro della strada, sparando circa 91 colpi con mitragliatori e pistole. Vennero uccisi i cinque uomini della scorta: Oreste Leonardi e Domenico Ricci a bordo dell’ auto di Moro e Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi a bordo dell’ Alfetta. La 132 guidata da Bruno Seghetti entrò in azione appena Raffaele Fiore e Mario Moretti fecero uscire Moro dalla 130, portandolo via. I brigatisti fecero perdere le tracce dopo aver trasbordato l’ ostaggio su un furgone dentro una cassa di legno fino al luogo della prigionia. Le Brigate Rosse fecero pervenire un comunicato nel quale dipinsero Moro come “lo stratega di quel regime democristiano che nei trent’ anni precedenti oppresse il popolo italiano” e chiesero lo scambio con dei prigionieri. Scambio che venne rifiutato dal Governo. Aldo Moro ebbe modo di scrivere alcune lettere nelle quali chiedeva che fosse avviata una trattativa. Prevalse la linea della fermezza, la politica italiana non intese dare valore politico alle Brigate Rosse. Paolo VI amico personale di Aldo Moro lanciò alcuni appelli caduti nel vuoto. Quel giorno iniziarono i cinquantacinque giorni che sconvolsero l’ Italia, culminati con la condanna a morte del presidente della DC decretata dai suoi carcerieri il 9 maggio 1978. Nonostante vari processi e varie condanne non mancano aspetti misteriosi e non del tutto chiarificati. L’ unica certezza storica fu che il sacrificio estremo di Aldo Moro segnò il punto più alto criminoso e la fine dell’ esperienza delle Brigate Rosse nella vita politica e sociale italiana.

Ettore Poggi

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Il barone nero

 

Michael Wittmann

Il film di Clint Eastwood “american sniper” in cui veniva celebrato il talento balistico di un soldato americano nella più recente guerra in Iraq ha richiamato la figura poco conosciuta al grande pubblico e lontana di un soldato tedesco della seconda guerra mondiale, Michael Wittmann. Egli era un ufficiale delle Waffen-SS, ed è considerato come uno dei più efficaci comandanti di carri armati della seconda guerra mondiale. Nato a Vogelthal, nella Baviera il 22 aprile 1914 da una famiglia contadina, entrò nell’ esercito nel 1934. Nel 1937 si arruolò nelle SS. Le caratteristiche fisiche e le capacità tattiche di Wittmann gli consentirono una volta entrato nel 1° Sturm/92 Standarte del Reparto di Elite “Leibstandarte Adolf Hitler”, di ottenere l’abilitazione alla guida delle blindo Sdkfz 222 e Sdkfz 232. Successivamente si distinse per l’abilità con cui conduceva i suddetti mezzi approdando alla Compagnia Ricognizione del Reggimento di Fanteria.  Nel settembre 1939 Wittmann prese parte alla Campagna di Polonia al comando di un blindo pesante Sdkfz 232. A cavallo tra il 1940 e il 1941 Michael Wittmann ebbe modo di misurare le sue abilità durante la Campagna dei Balcani, al comando di un plotone di Sturmgeschutz III Ausf A. Il 22 giugno del 1941 cominciò l’ operazione Barbarossa aprendo il fronte a est. In questa avventura Wittmann ottenne la sua Croce di Ferro di seconda classe dal momento che riuscì a distruggere numerosi carri sovietici. Le successive imprese lo porteranno a meritare la Croce di Ferro di prima classe. Ad essa seguirono il Distintivo per Combattimenti con Mezzi corazzati per l’impresa di aver distrutto sei carri nemici nella stessa azione. Nel 1943 passò dai panzer ai tigre e si distinse per aver distrutto due cannoni anticarro e tredici carri T.34 russi. La scalata di Wittmann verso nuove decorazioni non si arrestava. Il 13 giugno 1944, presso il villaggio di Villers-Bocage. passò alla storia quando in pochissimo tempo distrusse 21 carri armati e altri 28 veicoli blindati della 7th Armoured Division britannica. Michael Wittmann morì in circostanze mai del tutto chiarite a Caen l’ 8 agosto 1944. Usa e Gran Bretagna si sono arrogate per decenni la responsibilità della fine di Wittmann. Ciò rese anche un indiretto onore al tedesco da parte dei nemici che ne riconobbero il grande valore militare. Si calcola che Wittmann riuscì nell’ impresa di distruggere circa 270 veicoli militari. Nel 1983 il mistero trovò una soluzione quando vennero trovate conferme su un carro dello Squadrone A del Northamptonshire Yeomanry, equipaggiato con Sherman Firefly. Anche le sue spoglie vennerò trovate con grande ritardo, consegnando il mistero di Wittmann alla storia.

Ettore Poggi

 

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