Gli ateniesi avevano un concetto molto chiaro di democrazia: partecipazione di tutti i cittadini al governo della polis, cioè la città-stato di Atene. Riuniti in assemblea deliberavano le leggi che giornalmente venivano proposte, dibattute e infine votate per semplice alzata di mano. Qualora l’esito visivo della votazione non fosse chiaro, si richiedeva una seconda votazione. Il metodo da loro adottato era semplice, diretto, trasparente. Non che all’epoca non si dovessero sostenere costi per mantenere le cariche pubbliche o non esistesse il debito pubblico, semplicemente avevano trovato un modo economico per rappresentarsi e per governarsi. La loro democrazia fu perfetta, soprattutto al tempo di Pericle. Lo stratego ateniese, che si rappresentava come il leader o meglio il primo cittadino, riuscì a garantire ad Atene anni di splendore e dominio: i lavori sull’acropoli, apprezzabili ancora oggi, e il vasto impero ne sono un esempio tangibile. Il suo segreto? Frenare gli istinti del popolo, puntare alla concordia tra tutti i cittadini, rendere le leggi semplici e di facile attuazione, essere trasparente con tutti i cittadini e richiedere lo stesso atteggiamento da loro, non ingrandire l’impero dichiarando guerre se non di sicura vittoria, cercare il perfetto equilibrio tra governo interno e controllo dell’impero. Ecco il suo epitaffio. Alla morte di Pericle nel 429 a.c., la democrazia ad Atene cadde due volte, nel 411 a.c. e nel 404 a.c., perché i politici della generazione post periclea non furono altrettanto accorti, lungimiranti, prudenti ed onesti intellettualmente quanto il loro predecessore: essi cercarono l’appoggio del popolo e per ottenerlo si dedicarono alla demagogia, crearono circoli ristretti di potere, deliberarono leggi che favorirono i loro interessi privati e indirizzarono le nomine alle cariche pubbliche verso persone di loro fiducia. La differenza sostanziale tra Pericle e i suoi successori fu che il primo guardò sempre agli interessi della polis portando prosperità alla città, mentre i secondi badarono solo ai propri interessi privati causando la rovina di Atene e trasformando la democrazia diretta in una democrazia indiretta, molto più simile ad un governo dei pochi, un’oligarchia. L’eredità che Pericle consegnò ai cittadini permise loro, sia nel 411 a.c. che nel 404 a.c., di ribellarsi a questi politici disonesti e riprendersi, dopo pochi mesi, la democrazia e il governo della città. Essi fecero tesoro delle esperienze e degli insegnamenti degli anni precedenti e seppero governarsi in pace e prosperità fino all’arrivo dei romani. Oggi, nel nostro paese assistiamo spesso a tentavi demagogici da parte di improvvisati politici di ricercare il favore del popolo per raggiungere il potere, ergo vantaggi personali; questo è un fatto scontato e che si ripete nella storia delle nazioni democratiche. Tuttavia, dovrebbe stare all’intelligenza dei cittadini comprendere a chi, effettivamente, concedere la possibilità di governare, senza dar credito a chiunque si proponga sulla scena politica millantando capacità che non possiede o finti interessi pubblici. L’interesse collettivo della cittadinanza per la “cosa pubblica” dovrebbe essere sempre forte aggiornato quotidianamente, richiedendo a coloro i quali si è affidato l’incarico di governare di rendere conto del proprio operato, come accade in ogni ambito lavorativo. Con questo non si intenda che i cittadini ateniesi dell’epoca fossero più furbi e capaci di noi oggi, semplicemente, erano più interessati ai propri interessi pubblici, più accorti e tenevano ben saldo il potere che la democrazia concedeva loro. Mi chiedo solamente se prima o poi riusciremo, anche noi, a dare forma ad una democrazia moderna, tanto da essere ricordata nei prossimi duemilaquattrocentoquarantaquattro anni, come accaduto per i greci vissuti all’età di Pericle. Spesso anziché ricercare soluzioni improbabili e ufologiche per migliorare la nostra democrazia, basterebbe rileggersi l’epitaffio di Pericle:
Liberamente noi viviamo nei rapporti con la comunità, e in tutto quanto riguarda il sospetto che sorge dai rapporti reciproci nelle abitudini giornaliere, senza adirarci col vicino se fa qualcosa secondo il suo piacere e senza infliggerci a vicenda molestie che, sì, non sono dannose, ma pure sono spiacevoli ai nostri occhi. Senza danneggiarci esercitiamo reciprocamente i rapporti privati e nella vita pubblica la reverenza soprattutto ci impedisce di violare le leggi, in obbedienza a coloro che sono nei posti di comando, e alle istituzioni, in particolare a quelle poste a tutela di chi subisce ingiustizia o che, pur essendo non scritte, portano a chi le infrange una vergogna da tutti riconosciuta.
Roberto Rossetti