Manchester United – Munich Air Disaster 1958

La Storia e lo Sport sono due discipline che spesso hanno intersecato il proprio cammino. E spesso questa intersezione è il fardello pesante di una tragedia. Il 6 febbraio 1958 a Monaco di Baviera era in corso una tempesta di neve. Matt Busby, l’ allenatore del Manchester United, dopo aver ricostruito il club dalle rovine della seconda guerra mondiale, era riuscito a riportarlo in vetta al campionato inglese. Dalla seconda metà degli anni 50 aveva un sogno: vincere la Coppa dei Campioni. Nella stagione 1956/57 i Red Devils erano arrivati fino alle semifinali, nel 1958 il Manchester United voleva provare a vincere il massimo trofeo continentale. La squadra era giovane e promettente. Giocavano campioni come Tommy Taylor pagato 29999 sterline, Duncan Edwards, Bobby Charlton, Bill Foulkes. Quel giovedì pomeriggio 6 febbraio 1958 il club era di ritorno da Belgrado. Aveva appena passato il turno di Coppa contro la Stella Rossa accedendo alle semifinali. All’ epoca la tratta Belgrado – Manchester necessitava di una sosta per il rifornimento di carburante a Monaco di Baviera. Nonostante le cattive condizioni meteo, il ritardo accumulato già a Belgrado per lo smarrimento del passaporto di Berry, i piloti decisero di partire lo stesso. Vennero effettuati tre tentativi di decollo, il terzo fatale. La pista era coperta di neve, il pilota portò l’ aereo fino in fondo alla pista, perse velocità e si spezzò un ala e il velivolo si schiantò contro un deposito di carburante. L’ esplosione del deposito incendiò l’ aereo. Morirono sul colpo David Pegg, Tommy Taylor, Geoff Bent, Roger Byrne, Eddie Colman, Mark Jones, Liam ‘Billy’ Whelan. Johnny Berry e Jackie Blanchflower sopravvissero ma riportarono ferite tanto gravi da non consentire loro di riprendere a giocare mai più. Il talento di quella squadra Duncan Edwards resistette quindici giorni e poi morì. Matt Busby ricevette l’ estrema unzione tre volte ma dopo settimane di cure riuscì a sopravvivere. Si salvarono due giocatori Bobby Charlton e Bill Foulkes che insieme a Matt Busby avrebbero alzato la Coppa dei Campioni nel 1968, dieci anni esatti la tragedia di Monaco. Il bilancio della tragedia comprese anche tre membri dello staff di Busby, otto giornalisti e quattro membri dell’ equipaggio. Fuori dall’ Old Trafford, lo stadio del Manchester United, c’è l’ orologio di Monaco fermo all’ ora e alla data della tragedia.

ETTORE  POGGI

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LA MORTE DI ALDO MORO E L’ INIZIO DELLA FINE DELLE BR

Il 9 maggio 1978 una telefonata al professor Franco Tritto annunciava la morte di Aldo Moro. Una drammatica comunicazione telefonica che rientrava nelle ultime volontà espresse dallo statista italiano prima di essere ucciso dalle Brigate Rosse. Quella mattina, molto presto, il presidente della Democrazia Cristiana fu fatto salire nel portabagagli di una Renault 4 rossa. Secondo il racconto dei brigatisti l’ onorevole fu avvolto da una coperta e vennero esplosi dodici colpi da due armi diverse, una mitraglietta Skorpion calibro 7,65 e una pistola Walther Pkk calibro 9. Nel corso degli anni la responsabilità diretta del delitto furono fatte risalire a tre persone diverse. Tre diverse versioni. La prima che raffigurava lo scenario in cui a sparare fu Prospero Gallinari, poi quella in cui fu Mario Moretti e infine quella che riguardava Germano Maccari. Con certezza si sa davvero poco. Recentemente il RIS ha effettuato rilievi che hanno modificato quella vecchia versione. La nuova versione vede Aldo Moro non accucciato nel bagagliaio, ma seduto sul pianale del bagagliaio e in posizione frontale all’ esecutore. Dopo l’ assassinio alcune ore più tardi la telefonata al professor Tritto da parte del brigatista Valerio Morucci che spiegava dove sarebbe stato ritrovato per consegnarlo alla famiglia. Il luogo scelto fu via Caetani in Roma. Un posto simbolico essendo a metà strada tra le sedi della Democrazia Cristiana e quella del Partito Comunista.

Ettore Poggi

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Maria Antonietta, l’ultima regina di Francia

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Il 02 novembre 1755 nasceva Maria Antonietta d’Asburgo Lorena, moglie del re di Francia Luigi XVI, passata alla storia come una delle regine più capricciose e frivole di sempre.
Maria Antonietta e la sua storia incuriosiscono tutt’oggi, come dimostrato dagli incassi del film della Coppola Marie Antoinette (2006), in cui il lusso sfrenato e le stravaganze infinite sono i soggetti principali.
Molte delle curiosità e stranezze narrate nel film non sono tuttavia del tutto esatte e storicamente dimostrate.
In primo luogo, la più celebre regina di Francia non era affatto ghiotta di dolci e champagne, si afferma addirittura che Maria Antonietta fosse del tutto astemia e che avesse un’alimentazione molto più parca di quella del marito; una delle pietanze preferite della prima donna francese era, infatti, la zuppa di cavoli.
In secondo luogo, la famosissima frase “Se non hanno più pane, che mangino brioches!” che Maria Antonietta avrebbe pronunciato riguardo al popolo affamato di Parigi in realtà non fu mai proferita. L’origine della frase è incerta: secondo alcuni storici fu pronunciata da una dama della moglie del Re Sole, secondo altri da una delle figlie di Luigi XV. Quel che è certo è che la sfortunata frase fu affibbiata a tutte le sovrane straniere arrivate in Francia ed era molto in voga anche sotto il regno di Maria Antonietta.
Infine, nel film viene riservato poco spazio alle doti materne di Maria Antonietta. La regina fu una madre molto presente ed affettuosa; nei primi anni di matrimonio, quando la coppia non riusciva a procreare degli eredi al trono, la regina adottò diversi bambini che fece a vivere con lei a corte ed educò come se fossero figli reali.
L’immagine che Maria Antonietta ha lasciato ai posteri è quella di una donna superficiale e frivola; la domanda che ci dovremmo porre però è se questo archetipo di donna non sia frutto di un’invenzione posteriore o se, più presumibilmente, alcune caratteristiche della giovane sovrana non siano state ingigantite dagli allora detrattori della monarchia francese.
La monarchia francese trovò il proprio termine in concomitanza con la fine dell’ancien régime e la morte della donna austriaca, avvenuta il 21 settembre 1792.

Maria 

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Un orgoglio tutto italiano: Elena Lucrezia, la prima donna laureata al mondo

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La prima donna laureata al mondo fu una donna italiana vissuta nel XVII secolo di nome Elena Lucrezia Cornaro.
Nata nel 1646, figlia di nobili veneziani, i genitori ne incoraggiarono in tutti i modi l’educazione fin da bambina, quando Elena Lucrezia aveva già dimostrato di possedere notevoli capacità intellettuali.
Diciannovenne, la ragazza decise di prendere i voti ma proseguì i propri studi in materie religiose ed umanistiche, con l’aspirazione di laurearsi in teologia presso l’università – allora “studio” – di Padova. All’epoca non era comune per le donne compiere studi eruditi e tantomeno conseguire una laurea. Il caso di Elena Lucrezia rappresentò pertanto un’eccezione senza precedenti: nel 1678 riuscì ad ottenere, non con poco sforzo, la laurea in filosofia. A causa della sua condizione di donna, tuttavia, non poté mai esercitare la professione di insegnante.
Questo straordinario evento poté verificarsi grazie al sostegno del padre di Elena Lucrezia, vero e proprio mecenate dell’epoca, ma anche e soprattutto grazie all’acuta intelligenza e apertura mentale della ragazza.
Questa donna, orgoglio italiano ed esempio per tutte le studiose e non solo, è la prova della libertà e della forza squisitamente femminile: nonostante non fosse riuscita a rovesciare tutte le regole sociali allora esistenti (la laurea assegnatole era in filosofia e non in teologia, come ella avrebbe desiderato, ma anche l’impossibilità di praticare l’insegnamento ecc.), Elena Lucrezia aprì la strada, fino ad allora mai percorsa, al riconoscimento della capacità della donne di pensare e di “intellegere”.
Tutt’oggi la figura di Elena Lucrezia rimane troppo poco conosciuta, sebbene le siano stati dedicati alcuni riconoscimenti, targhe e piazze; le è stato dedicato anche un cratere sul pianeta Venere.

Maria 

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Un Papa a… Vicoforte

Tra il 15 e il 16 agosto 1809 il romano pontefice Pio VII, Gregorio Chiaramonti, transitò a Vicoforte come ostaggio di Napoleone Bonaparte. Il papa arrestato in Vaticano il 5 luglio dello stesso anno fu condotto a Savona: durante il tragitto si preferì percorrere le strade interne del monregalese, anziché quelle lungo la costa perché ritenute più sicure contro le rivolte locali. Grande fu la commozione e l’affetto dimostrato dalla popolazione al pontefice: il sentimento popolare religioso era molto forte soprattutto nelle aree rurali del paese.

Ad oggi si può visitare, presso una delle cappelle laterali della basilica del Santuario di Vicoforte, il monumento che venne eretto in onore di Pio VII e la portantina che egli lasciò in dono alla popolazione vicese come segno del suo passaggio.

E’ celebre ancora oggi la frase con la quale papa Chiaramonti rifiutò di arrendersi a Napoleone:

“Non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo”.

Roberto Rossetti

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