Un amore senza tempo: la storia di Abelardo ed Eloisa

abelardo-e-eloisa-698151

 

L’amore è senza tempo. La letteratura e la mitologia ci hanno narrato di molte ardenti passioni tra coppie di amanti, ma quella che vi raccontiamo oggi è una storia diversa, particolare. Si tratta, infatti, di una delle poche storie d’amore che abbia un fondamento storico come palcoscenico, giunta sino a noi grazie ad una nutrita serie di epistole che i due amanti si scambiò quando furono costretti a dividere le proprie strade.
Ma procediamo con ordine. Siamo in Francia, Parigi, inizio del XII secolo. I protagonisti sono Abelardo, un teologo e chierico di fama internazionale, ed Eloisa, una giovane donna colta e intelligente.
La storia tra i due inizia nel 1116, quando lo zio di Eloisa decide di assegnare alla dotata nipote il maestro più ambito della città, Abelardo. Ben presto le lezioni si tramutano in veri e propri appuntamenti, durante i quali anziché occuparsi di cultura ed erudizione gli amanti si dedicano l’uno all’altra, scoprendo in definitiva di amarsi intensamente, come ricorderà appena qualche anno dopo Eloisa in una delle sue lettere:
Quei piaceri ai quali entrambi ci dedicammo totalmente quando eravamo amanti, furono tanto dolci per me che non posso dispiacermene, né essi possono svanire dalla mia memoria, nemmeno un poco. […] Queste visioni non mi risparmiano nemmeno quando dormo. Persino durante la solennità della messa, quando la preghiera deve essere più pura, le immagini oscene di quelle voluttà si impossessano della mia infelicissima anima al punto che penso più ai piaceri sensuali che alla preghiera”.
Quando Eloisa si accorge di essere incinta Abelardo decide di portarla con sé in Bretagna, dove nascerà il loro bambino Astrolabio. Mosso dall’amore, Abelardo sposa la compagna, consapevole che se questa notizia fosse trapelata egli avrebbe messo a rischio la propria reputazione, ma soprattutto avrebbe sacrificato il lavoro e gli studi di una vita. Purtroppo il fatto diviene presto di pubblico dominio, e per evitare ulteriori scandali il teologo fa rifugiare la propria moglie in un monastero. I parenti di Eloisa non comprendono però questo gesto, e credono che Abelardo stia tentando di liberarsi definitivamente della famiglia appena costruita al fine di non perdere la propria fama. Decidono così di compiere un atto estremo: durante una notte fanno evirare da tre sicari il povero Abelardo.
Da quel momento in poi Abelardo ed Eloisa non s’incontreranno più, ma cominciano a scriversi, per nostra fortuna, appassionate lettere di contenuto teologico e filosofico, di tanto in tanto costellate da dolci ricordi del passato. La figura di Eloisa è quella che ci sorprende maggiormente: preso il velo nel monastero in cui si era rifugiata, con parole sottili e ricercate cerca di riconquistare l’amore del marito, forse mai venuto meno, ma sicuramente affievolito dopo il grave incidente. Gli ricorda nelle proprie lettere cosa l’avesse spinta ad amarlo così arditamente:
Chi tra i re o i filosofi poté uguagliare la tua fama? Quale regione, o città, o paese non ardeva dal desiderio di vederti? Chi, ti chiedo, quando camminavi tra la gente, non correva subito a guardarti? E quando invece te ne andavi, chi non cercava di seguirti con lo sguardo, tendendo il collo e girando gli occhi? Quale sposa, quale vergine, non ti desiderava con ardore se fossi assente e, se invece eri presente, non arrossiva? Quale regina o nobile donna non invidiava le mie gioie e il mio letto?”.
Gli sforzi di Eloisa sono tuttavia vani: Abelardo si rivela molto severo con la moglie, che invita a dedicarsi anima e corpo al servizio di Dio soltanto, pur consapevole del fatto che il velo indossato da Eloisa non fosse per vocazione ma per bisogno.
L’amore che aveva legato i due amanti, attraverso l’epistolario, va sublimandosi in qualcosa che è oltre la mera passione carnale per divenire amore del linguaggio, amore dell’intelletto, amore assoluto.
Oggi, a distanza di nove secoli dalla loro storia d’amore, Abelardo ed Eloisa riposano insieme al cimitero monumentale Père-Lachaise, a Parigi. Finalmente possono stare insieme per l’eternità.

Maria 

Please rate this

Dante: un Purgatorio tra Angeli e Demoni

dante-alighieri-divina-commedia

 

 

Da sempre, il Purgatorio ha attratto per il suo stato di regno intermedio: è al suo interno che ci si “gioca” l’accesso al Paradiso. Nato da un paradosso, inventato cioè da due teologi greci, Clemente Alessandrino e Origene, il Purgatorio fu riportato nel solco della tradizione cristiana da due colossi del cristianesimo, Agostino e Gregorio Magno. Fino all’anno mille, non si concepì mai il purgatorio come sostantivo (Purgatorio), ma come aggettivo (è Purgatorio): esso fu considerato come un fuoco di tipo purgatorio, che purgava e ripuliva le anime permettendo ad esse di ascendere al Paradiso, o addirittura se la loro colpa era talmente grave, di precipitare all’inferno. I luoghi erano sempre e solo due: Paradiso e Inferno. Questa dualità era il modo di pensare comune della società medievale, secondo cui tutto era duale: bene e male, servi e padroni, papa e imperatore, vita e morte, paradiso e inferno. Nel passaggio da basso ad alto Medioevo, la società si evolve verso forme di pensiero non più duali, ma ternarie: nascono all’interno della società i terzi ordini (c’è chi prega, c’è chi combatte e c’è chi lavora). Se il mondo feudale aveva visto una rigida contrapposizione tra servi e padroni, tra signori e vassalli, ora nasce un terzo ceto, quello borghese, che si insedia nelle città; non solo, in campo ecclesiastico scendono in campo i terzi ordini, non più solo preti secolari e monaci, ma anche i frati Mendicanti. Si evolve così, di conseguenza anche la visione dell’aldilà: Paradiso, Inferno e loci purgatori. Ci si indirizza verso la credenza secondo cui le anime, che non essendo così buone da essersi meritate il paradiso, ma neanche così cattive da cadere nell’inferno, devono esser purgate in qualche luogo, si ma dove? Il Purgatorio viene pensato sempre di più come un’estensione dell’inferno, come un piano superiore degli inferni. Fu Dante a strappare il Purgatorio dalle grinfie di Satana per ricondurlo verso il Paradiso. Il poeta toscano ci presentò il Purgatorio come un luogo reale, determinato, evidente, rappresentato da una montagna circolare composta da sette strati, regioni e regni in cui le anime purgano i sette peccati capitali. La scalata della montagna compiuta da Virgilio e Dante è una ascesa verso il Paradiso, verso Dio: man mano che si raggiunge la sommità l’anima si purga, diventando talmente leggera da poter ascendere al cielo. Nonostante le pene del purgatorio siano talmente dure, da essere quasi infernali, l’anima le sopporta perché guardando in alto vede la luce, vede il volto di Dio. L’anima raggiunge così la sua perfezione, ritrovando quell’elemento di cui era assente in Purgatorio, l’amore. E’ questa la grande invenzione di Dante: se l’inferno è un luogo di dolore, il paradiso è un luogo di amore, il purgatorio è un luogo di speranza non solo per le anime morte nell’aldilà, ma soprattutto per i vivi dell’aldiquà perché essi possono vivere la propria vita senza sentire sempre incombente il peso del peccato e con la consapevolezza di una speranza di salvezza dopo la morte. Come Dante ha potuto pensare tutto questo? Semplicemente, pensando come ha pensato Dio: Gesù morente sulla croce ha ridato la speranza al ladrone crocefisso accanto a lui: “Oggi sarai con me in paradiso”.

Roberto Rossetti

Please rate this

Il 24 dicembre 1223 nasceva il Presepe

san-francesco-02

 

Il 24 dicembre 1223 nasceva a Greccio il presepe vivente, per volontà di San Francesco d’Assisi: fu la prima rappresentazione storica della natività di Gesù. Da questo evento nacque la rappresentazione del presepe, tradizione che dura fino ad oggi. Francesco sentiva fortemente il bisogno di poter visitare i luoghi “sacri” della Terra Santa, Gerusalemme fra tutti. In realtà, questa esigenza si colloca nell’interesse europeo di riappropriazione di quei territori che hanno raccontato la storia delle origine cristiane, prima nel Vecchio e poi nel Nuovo Testamento. Proprio in quegli anni, tra il 1217 e il 1220 si svolse la Quinta Crociata, indetta da Papa Onorio III che coinvolse numerosi eserciti europei ed ebbe come scenario proprio la Palestina. Tuttavia, a causa di dissidi interni tra i crociati, la campagna militare si rivelò un fallimento e la presa di Gerusalemme rimase solo un sogno irrealizzato. Il XIII secolo si colloca in piena età medievale, in un’epoca che vede la nascita dei movimenti mendicanti, tra i quali francescani e domenicani, il cosiddetto “terzo ordine”; essi si frappongono tra l’ordine clericale e l’ordine monastico, portando in giro per l’Europa ideali di povertà e mendicità, necessari per una vera vita cristiana. In questo solco si pone soprattutto l’attività del “poverello di Assisi”. Uno dei modi più suggestivi ed efficaci per questi portatori di ideali era non solo quello di predicare nelle piazze europee, ma di rappresentare tramite immagini quella che era la cristianità. Quale modo migliore allora di rappresentare la natività di Gesù, di rivivere “dal vivo” l’evento fondante della cristianità.

Lo Staff di Coffee and History coglie l’occasione per porgere a tutti voi i nostri migliori auguri di buone feste!

 Roberto

Please rate this

Una “santa viva” tra Medioevo e Rinascimento: Elena Duglioli

a

Tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500 le donne hanno rivendicato un ruolo attivo nella società, rifiutando il silenzio imposto loro per secoli. E’ in questo contesto che si collocano le figure delle “sante vive”, modelli di estremo ascetismo religioso con, al tempo stesso, un discreto potere politico e sociale.

Elena Duglioli, nata nel 1472 a Bologna, appena quindicenne venne data in sposa a Benedetto Dall’Olio, un notaio di fiducia dei canonici regolari del convento di San Giovanni in Monte di Bologna. Nel 1506 venne reso pubblico il fatto che, dopo diciotto anni di matrimonio, Elena manteneva ancora la sua verginità. Fu questo il fattore che diede il via al suo culto e alla costruzione della sua leggenda agiografica, che conoscerà il momento culminante tra il 1506 e il 1520. Non è un caso che il culto della donna si collochi in questo periodo storico così drammatico, caratterizzato dal crollo della signoria dei Bentivoglio e dal ritorno di Bologna alla piena sovranità pontificia: la donna venerata divenne una forma di culto alternativo alla famiglia bentevolesca, che durante le “guerre horrende de Italia”, fu cacciata dalla città.

Dopo la morte di Elena nel 1520, la devozione verso la sua figura non sembrò diminuire, anzi, le vennero addirittura attribuiti nuovi atti miracolosi, di cui il più conosciuto è quello della presenza di latte al seno in età avanzata, che avrebbe continuato a stillare anche dopo la morte della beata.

Nonostante un primo esame condotto sulla salma di Elena con esito negativo, venne poi dichiarato un certo stato di incorruzione del cadavere. Tuttavia, sebbene nella tradizione bolognese Elena sia sempre stata venerata come una santa, non venne mai avviato alcun processo canonico, almeno fino al 1828, quando alla donna sarà riconosciuto il titolo di beata sulla base delle testimonianze documentarie del culto ab immemorabili.

Maria 

Please rate this