Agrippina: madre, donna, imperatrice

F05494_009

Agrippina fu la prima donna a governare l’impero romano. Vissuta nel I secolo d.C., ricoprì questo ruolo quando suo figlio Nerone era troppo giovane per essere l’esecutore di un potere così immenso.  Agrippina discendeva da una stirpe importante: era nipote di Giulio Cesare da parte della madre e nipote di Marco Antonio da parte del padre. La donna era ben consapevole del suo lignaggio, e usò per tutta la sua vita questo elemento al fine di guadagnare sempre più potere e spazio nella Roma imperiale. Divenuta sposa di suo zio Claudio nel 49 d.C., convinse l’uomo a riconoscere come erede Nerone (nato da un precedente matrimonio) al posto del figlio naturale dell’imperatore, Britannico. Per assicurare la successione, la donna nel 54 d.C. avvelenò il marito con un piatto di funghi e fece acclamare il figlio Nerone imperatore dai pretoriani. L’anno successivo, elle fece uccidere anche il figlio naturale di Claudio, Britannico. Nonostante gli sforzi della madre per agevolare Nerone in campo politico, il neo imperatore mal sopportava l’ingerenza della donna, a tratti esasperante. Per questo motivo il rapporto tra i due andò sempre più incrinandosi: Nerone cominciò ad appoggiarsi a consiglieri scomodi alla madre, come il filosofo Seneca, e a frequentare donne tradendo la sposa che la madre gli aveva trovato, vale a dire Claudia Ottavia. Fu proprio l’amante e futura moglie dell’imperatore, Poppea Sabina, ad istigare Nerone a compiere il matricidio. Secondo gli Annales scritti da Tacito, Agrippina avrebbe tentato addirittura l’incesto per cercare di distogliere l’attenzione del figlio dall’amante e per assicurarsi il ruolo di Augusta che aveva guadagnato negli anni. Tuttavia, nel 59 d.C. e dopo aver sparso la voce di un tradimento compiuto da Agrippina nei confronti del figlio, la donna venne fatta pugnalare e uccidere. Agrippina fu, nel bene e nel male, una delle figure femminili più significative dell’impero romano. La sua infinita sete di potere l’ha però condotta ad una fine tragica e drammatica.

Maria 

Please rate this

La conversione di Paolo

250px-Conversion_on_the_Way_to_Damascus-Caravaggio_(c.1600-1)(1)

Secondo la tradizione liturgica cristiana della Chiesa cattolica, oggi si commemora l’evento della conversione di Paolo. Il fatto è tra i più celebri e i più misteriosi della storia della Chiesa: Saulo o Paolo di Tarso fu un esattore delle tasse nonché acerrimo nemico dei cristiani e loro persecutore. Un giorno, durante un suo viaggio a Damasco, lungo il tragitto, Paolo cadde (secondo alcuni come il pittore Caravaggio la caduta avvenne da cavallo e in tal modo egli lo dipinse) a terra. Frastornato dalla caduta, una luce intensa e abbagliante avvolse Paolo, impedendogli la vista; Dio domandò a Paolo perché questi perseguitasse i cristiani, invitandolo ad alzarsi e ad entrare in città. Paolo rimase tre giorni e tre notti senza vedere e senza mangiare. Paolo rinacque come uomo di Dio.

Nel primo periodo successivo alla morte di Gesù Cristo, ci attestiamo quindi nel I sec d.C., durante gli anni in cui visse Paolo, non vi era una visione unitaria del cristianesimo. Gli stessi apostoli e seguaci di Cristo avevano idee e opinioni differenti e spesso discordanti su come si dovesse procedere, soprattutto su come dovesse essere “portata” al mondo la parola di Dio.

Fu proprio Paolo di Tarso, miscredente prima e primo seguace poi a consegnare alla Chiesa quella che fu la base del cristianesimo e della fede cristiana. Secondo visioni interpretative ostili alla Chiesa cristiana Paolo creò il cristianesimo, che oggi noi conosciamo. Ritengo che, invece, Paolo fu la persona che seppe meglio interpretare la parola di Gesù e, attraverso le sue lettere, diffonderla ai popoli del mondo allora conosciuto. L’importanza che riveste questo personaggio nella storia della Chiesa è fondamentale: la visione della salvezza ultraterrena, della fede in Cristo e dell’amore come base fondamentale della vita cristiana sono i tre concetti diffusi da Paolo che oggi rappresentano la base della fede cristiana. Nonostante la sua figura possa essere oscurata da quella di Pietro, nominato da Gesù suo successore, nonché base, o meglio pietra, della sua Chiesa, fu Paolo il motore del primo cristianesimo. Le sue lettere ai popoli della terra continuano tutt’oggi ad essere lette durante le celebrazioni liturgiche perché a distanza di duemila anni rappresentano ancora quella strada all’interno della quale le persone si possono convertire.

Roberto Rossetti

Please rate this

Ego Gaius Julius Caesar

443356462_a78690d906

 

Il 10 gennaio del 49 a.c. l’esercito romano, di rientro dalla campagna militare in Gallia, attraversò armato il Rubicone: il fiume designava il confine tra la penisola italiana a sud ed i territori barbari a nord. Quell’atto rappresentò la fine della Repubblica di Roma, e l’inizio del mito del più grande personaggio della storia romana: Caio Giulio Cesare. Nato intorno al 100 a.c., nella Roma repubblicana, appartenne alla nobiltà patrizia decaduta. Fin da giovane si avvicinò a Cicerone e a Pompeo, legami che gli valsero l’elezione a pontifex maximus nel 63 a.c. e a console nel 59 a.c.

Nel 60 a.c. strinse, nel famoso primo triumvirato, un’alleanza con i due comandanti militari, Pompeo e Crasso: un’amicizia privata e segreta che avrebbe dovuto favorire la spartizione tra loro di cariche e provvedimenti. Da console, Cesare promosse alcune leggi agrarie a favore dei veterani di Pompeo, reduci dalle campagne militari in Oriente, e a favore dei poveri. Seguirono importanti riforme democratiche che resero più severe la normativa anti concussione e altri provvedimenti a favore di Pompeo e Crasso. Dal 58 a.c. iniziò la sua campagna militare in Gallia, le cui gesta vennero riportate nel De Bello Gallico, e che si protrasse fino al 50 a.c: Cesare sottomise tutti i popoli residenti nell’attuale Europa centrale. Proprio in quell’anno, il 50 a.c., ebbe termine il mandato di Cesare, il quale fu invitato dal Senato di Roma, anche e soprattutto intimorito dai successi personali e dal prestigio conseguito, a rientrare deponendo la carica; il comande romano, in contraddizione con quanto stabilito dalla Repubblica, attraversò il Rubicone: Alea iacta est (“Il Dado è tratto”) fu la sua unica frase. Quell’atto compiuto con l’esercito in armi significò la dichiarazione di guerra alla Roma Repubblicana: Cesare voleva mantenere il potere e attraversando quel fiume se lo andò a prendere. Lo scontro con Pompeo, rappresentante di Roma, fu inevitabile come inevitabile fu la sconfitta di quest’ultimo. Cesare conquistò e governò su Roma e su tutti i territori assoggettati e riuniti in quello che divenne l’impero romano con grande saggezza. Il suo potere personale si estese talmente tanto da provocare invidie e timori, soprattutto tra i senatori, e da diventare il pretesto per la sua morte, avvenuta alle idi di marzo (15 marzo) del 44 a.c. Quel mattino appena Cesare arrivò in senato venne accerchiato dai congiurati, i quali, ognuno con un pugnale, lo trafissero con 23 colpi, di cui nessuno mortale ad eccezione del secondo. Et tu, Brute? (“Anche tu, Bruto?”), fu l’ultima frase del dittatore, che spirò coprendosi il volto con le vesti della tunica, in segno di pudore. Cesare fu pontefice massimo, questore, edile, pretore, console, proconsole, dittatore e infine dio. Cesare fu il dominatore del mondo conosciuto, fu il simbolo della potenza e della grandezza di Roma. Con il tempo si potranno dimenticare le sue gesta, le sue leggi, le sue riforme, ma non si potrà dimenticare il suo mito. Conquistò tutto: terre, popoli, potere, fama e gloria, ma soprattutto conquistò un posto in prima fila nella nostra memoria.

“Veni, Vidi, Vici”

Cit. Caio Giulio Cesare

Roberto Rossetti

Please rate this