Ego Gaius Julius Caesar

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Il 10 gennaio del 49 a.c. l’esercito romano, di rientro dalla campagna militare in Gallia, attraversò armato il Rubicone: il fiume designava il confine tra la penisola italiana a sud ed i territori barbari a nord. Quell’atto rappresentò la fine della Repubblica di Roma, e l’inizio del mito del più grande personaggio della storia romana: Caio Giulio Cesare. Nato intorno al 100 a.c., nella Roma repubblicana, appartenne alla nobiltà patrizia decaduta. Fin da giovane si avvicinò a Cicerone e a Pompeo, legami che gli valsero l’elezione a pontifex maximus nel 63 a.c. e a console nel 59 a.c.

Nel 60 a.c. strinse, nel famoso primo triumvirato, un’alleanza con i due comandanti militari, Pompeo e Crasso: un’amicizia privata e segreta che avrebbe dovuto favorire la spartizione tra loro di cariche e provvedimenti. Da console, Cesare promosse alcune leggi agrarie a favore dei veterani di Pompeo, reduci dalle campagne militari in Oriente, e a favore dei poveri. Seguirono importanti riforme democratiche che resero più severe la normativa anti concussione e altri provvedimenti a favore di Pompeo e Crasso. Dal 58 a.c. iniziò la sua campagna militare in Gallia, le cui gesta vennero riportate nel De Bello Gallico, e che si protrasse fino al 50 a.c: Cesare sottomise tutti i popoli residenti nell’attuale Europa centrale. Proprio in quell’anno, il 50 a.c., ebbe termine il mandato di Cesare, il quale fu invitato dal Senato di Roma, anche e soprattutto intimorito dai successi personali e dal prestigio conseguito, a rientrare deponendo la carica; il comande romano, in contraddizione con quanto stabilito dalla Repubblica, attraversò il Rubicone: Alea iacta est (“Il Dado è tratto”) fu la sua unica frase. Quell’atto compiuto con l’esercito in armi significò la dichiarazione di guerra alla Roma Repubblicana: Cesare voleva mantenere il potere e attraversando quel fiume se lo andò a prendere. Lo scontro con Pompeo, rappresentante di Roma, fu inevitabile come inevitabile fu la sconfitta di quest’ultimo. Cesare conquistò e governò su Roma e su tutti i territori assoggettati e riuniti in quello che divenne l’impero romano con grande saggezza. Il suo potere personale si estese talmente tanto da provocare invidie e timori, soprattutto tra i senatori, e da diventare il pretesto per la sua morte, avvenuta alle idi di marzo (15 marzo) del 44 a.c. Quel mattino appena Cesare arrivò in senato venne accerchiato dai congiurati, i quali, ognuno con un pugnale, lo trafissero con 23 colpi, di cui nessuno mortale ad eccezione del secondo. Et tu, Brute? (“Anche tu, Bruto?”), fu l’ultima frase del dittatore, che spirò coprendosi il volto con le vesti della tunica, in segno di pudore. Cesare fu pontefice massimo, questore, edile, pretore, console, proconsole, dittatore e infine dio. Cesare fu il dominatore del mondo conosciuto, fu il simbolo della potenza e della grandezza di Roma. Con il tempo si potranno dimenticare le sue gesta, le sue leggi, le sue riforme, ma non si potrà dimenticare il suo mito. Conquistò tutto: terre, popoli, potere, fama e gloria, ma soprattutto conquistò un posto in prima fila nella nostra memoria.

“Veni, Vidi, Vici”

Cit. Caio Giulio Cesare

Roberto Rossetti

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