Un contemporaneo nei “Tempi Moderni”

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Il 5 febbraio 1936 esce nelle sale cinematografiche di tutto il mondo Modern Times di Charlie Chaplin. E’ il film più importante prodotto dall’attore: è il primo a sonoro di Chaplin ed è il primo lungometraggio “impegnato”. Prima del 1936, il pubblico si era abituato a vedere brevi cortometraggi con semplici gag nelle quali, attraverso il personaggio Charlot, risaltava il genio e la bravura dell’attore. Non si richiedeva nessun tipo di impegno mentale allo spettatore, il quale doveva sedersi e aspettare la prima scena comica per iniziare a ridere. Ma il mondo degli anni Venti e Trenta stava cambiando e Chaplin seguiva il mondo: i nazionalismi e i venti di guerra da essi derivati, le trasformazioni della società e la meccanizzazione del settore industriale erano fenomeni che non erano indifferenti all’attore. Dopo aver ottenuto tutto quello che un attore comico poteva conquistare: soldi, onore, fama, gloria, era arrivato per Chaplin il momento di rimettersi nuovamente in gioco, questa volta mettendo piede nella società e rappresentandola. La fabbrica moderna non attribuiva più all’uomo un posto di primo piano nel ciclo produttivo, l’operaio era diventato una parte di quella catena di montaggio che permetteva di aumentare i cicli produttivi riducendo i tempi di produzione. Il lavoratore della fabbrica moderna doveva compiere gli stessi “meccanici” gesti per svariate ore durante la giornata. Cosa rimaneva quindi dell’uomo, del suo essere pensante e vivente, dei suoi sentimenti, delle sue passioni, della sua intelligenza? Secondo Chaplin, nulla. Da questo concetto parte la rappresentazione della società moderna, di quei temi moderni che portavano sì un progresso, una forma di evoluzione della società: le prime auto, le prime società elettriche, i primi confort, le radio, ma tutto questo era ottenuto a quale prezzo? Era l’uomo ad essere dismesso e a favore della macchina, la quale diveniva l’elemento principale. Realizzare Modern Times costò parecchio a Chaplin, soprattutto il fatto che entrando a piedi uniti in questa società, considerata distorta, non sarebbero mancate le critiche a posteriori. Creare la risata con una gag comica non impegnata o creare la risata facendo risaltare il modo in cui un operaio è trattato sono due cose ben diverse. L’evoluzione entrò anche nel mondo del cinema e Chaplin provò a resisterle, infatti egli non volle che Modern Times fosse del tutto sonoro. L’attore resiste ancora all’uso dei dialoghi, ma introduce il sonoro: la musica è sincronizzata con il movimento dei personaggi e lo svolgimento delle azioni. Inoltre si poneva il problema di dare voce a Charlot, in quanto il pubblico di tutto il mondo si chiedeva quale voce avrebbe avuto, in che modo avrebbe parlato. La voce avrebbe rispecchiato la figura del “vagabondo”. Chaplin azzarda, per un solo ciak, quello del ballo della Titina, l’attore fa cantare Charlot, fu una delle scommesse più importanti vinte da Chaplin. Tutto questo non poteva bastare per la realizzazione di un film impegnato, diverso dai precedenti, doveva anche cambiare, o meglio maturare lo stesso personaggio di Charlot: se il primo “vagabondo” poteva generare simpatia e tenerezza nel pubblico, il nuovo Charlot matura come uomo: ora è l’operaio che ogni giorno cerca di sopravvivere e nel quale si rispecchierà la classe operaia di tutto il mondo. Sarà con The Great Dictator che il personaggio di Charlot raggiungerà la piena maturità. La scena finale di Modern Times in cui Chaplin invita la giovane ragazza, Paulette Godard sua futura moglie, a sorridere alla vita è una delle più belle che il cinema abbia mai realizzato. Il sorriso di Charlot è un inno alla vita, all’amore e alla felicità.

Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa andare bene come sei. Quindi: vivi come credi. Fai cosa ti dice il cuore: ciò che vuoi. La vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali. Quindi: canta, ridi, balla, ama e vivi intensamente ogni momento della tua vita, prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi. (Cit. Chaplin)

 

Roberto Rossetti

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