Donne nella tempesta: la figura femminile nella Resistenza

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La Resistenza italiana è quel periodo storico che inizia dopo l’armistizio dell’08 settembre 1943 e termina nei primi giorni del maggio 1945, a guerra conclusa. L’area del cuneese è stata una delle zone che ha contribuito nella lotta al nazifascismo, e anche le donne hanno partecipato a tale battaglia: a livello nazionale le partigiane ufficialmente riconosciute sono state circa 50.000, nel solo Piemonte sono state 7.773; come ci ricorda il prof. R. Assom, di queste 1.400 hanno avuto il brevetto di partigiane combattenti; 91 sono cadute in combattimento o sono state fucilate o impiccate; 921 sono risultate le patriote e 976 le benemerite. Nonostante le donne avessero già avuto un ruolo determinante nella prima guerra mondiale, lo stereotipo che vuole le donne incompatibili con gli spazi e le mansioni di volta in volta definiti maschili si dimostra tenace anche durante il periodo della Resistenza, e questo fenomeno ha finito con il penalizzare il ruolo determinante ricoperto dalle donne in tale periodo.

Chi erano le donne che hanno combattuto sulle nostre montagne durante la seconda guerra mondiale? Erano madri, figlie, sorelle, mogli. Tutte, dal settembre 1943, hanno iniziato ad aiutare gli sbandati fornendo loro abiti civili, un pasto caldo, una carezza, nella speranza che ai loro cari, magari lontani, altre donne riservassero le stesse cure che loro stavano fornendo a questi sconosciuti.
Qualche donna si impegnò non solo a dare sussistenza agli ex soldati, ma anche affrontando “militarmente” la guerra. I primi corrieri e informatori partigiani furono infatti le donne. Inizialmente portavano assieme agli aiuti in viveri e indumenti le notizie da casa e le informazioni sui movimenti del nemico. Ben presto questo lavoro spontaneo venne organizzato, ed ogni distaccamento si creò le proprie staffette, specializzate nel fare la spola tra i centri abitati e i comandi delle unità partigiane.
Le donne hanno dato un enorme contributo nella lotta al nazifascismo. Per molte donne la battaglia non ha implicato l’uso delle armi tradizionali, bensì quello dell’iniziativa personale e della solidarietà, dell’astuzia e della dedizione. Queste sono le donne che hanno gettato le basi all’autoaffermazione del genere femminile e del riconoscimento delle pari opportunità.

Dal libro di R. Assom, Donne nella bufera, uno stralcio di testimonianza della staffetta partigiana Ljubi:

“Io avevo paura di quello che potevano farmi. Avevo paura. Prima cosa la violenza carnale. Ho girato sempre con una Sip attaccata alla vita. Anche perché avevo la cartella con tutti i nomi dei partigiani della Brigata, prima, della Divisione poi, e altri documenti importantissimi. […] Comunque il mio terrore era quello del sesso. […] Fortuna che erano talmente imbecilli, perché io ho passato il pinte di Pessione dove c’era una colonna a destra e una a sinistra, di tedeschi e fascisti che guardavano questo ponte. Sono passata e, quando sono stata di là, mi sono ricordata che avevo i calzettoni del lancio. Sono passata e loro mi hanno dato la tantara”.

Maria

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