La Farfalla Granata vola più in alto

meroni

Arrigo Sacchi ha definito il calcio come la cosa più importante delle cose meno importanti. Questo sport riesce a stimolare le emozioni più sanguigne e razionalmente inspiegabili ma in quanto tali sono sincere, tangibili nell’ animo umano. C’è una squadra che più di tutte è il catalogo emotivo più vasto e profondo senza eguali nel mondo e nella storia del gioco, il Torino. Ad esso è legata una delle storie più delicate e struggenti che valicano i confini granata per depositarsi nell’ anima di tutti, ovvero nel senza-tempo. Il protagonista è un ragazzo di nome Gigi Meroni, nato il 24 febbraio 1943 e morto a 24 anni il 15 ottobre 1967. Aveva fatto il disegnatore di cravatte e si dilettava con la pittura, era anche molto apprezzato. Ma la sua popolarità era dovuta principalmente al calcio. Giocava come ala destra, la numero 7. Cresciuto calcisticamente nelle giovanili del Como, fu acquistato dal Genoa dove si impose come giovane dal futuro assicurato in seria A. Nel 1964 fu acquistato per una cifra esorbitante dal Torino allenato da Nereo Rocco. Furono spesi 300 milioni di lire. Non perse tempo nel dimostrare il suo valore sul campo. Il suo modo di stare in campo era l’ essenza del gioco puro, fantasia, dribbling,  tiro pennellato. Portava i capelli lunghi per l’ epoca e questo contrastò con il conformismo degli allenatori come Fabbri. Amava dipingere su tela e disegnare i propri eccentrici abiti. Il suo senso di anticonformismo e ribellione lo portò a presentarsi persino con una gallina al guinzaglio. Aveva un modo di fare che conquistava, tutti gli volevano bene. Si innamorò ricambiato di una bellissima ragazza di origine polacca, Cristiana Uderstadt, che lavorava come giostraia a Genova. Purtroppo lei era già promessa sposa ad un aiuto regista di Roma. Non si persero di vista e la loro relazione dette scandalo. L’ accusa di concubinato li accompagnò finché il matrimonio di lei non venne annullato. Viveva dapprima in una soffitta, poi in un appartamento di Corso Umberto I nel centro di  Torino. Segnò gol belli e importanti come quello all’ invincibile Inter di Mazzola e Facchetti che ancora oggi fanno vedere in televisione. Entrò anche nel giro della Nazionale. La domenica 15 ottobre 1967 giocò la sua ultima partita contro la Sampdoria, vinsero i granata per 4-2. Quel giorno Nestor Combin il centravanti numero 9 del Torino fece tre gol. A fine gara Gigi nel complimentarsi gli disse che la domenica successiva nel derby avrebbe fatto altri tre gol.  La sera, sotto la pioggia, nell’ attraversare Corso Re Umberto con l’amico Fabrizio Poletti venne investito da un auto guidata da Attilio Romero, tra l’altro tifosissimo del Torino. Gigi morì poco dopo in ospedale. Era morto lo sportivo che più di altri aveva rappresentato gli anni 60 con il suo talento sportivo, artistico con la sua vita unica e controcorrente. Nella storia del Torino fatta di drammi e collegamenti misteriosi c’è da menzionare la tragica omonimia che lega Gigi Meroni con Luigi Meroni il comandante dell’ aereo del Grande Torino morto a Superga il 4 maggio 1949. Il ragazzo che nel 1967 investì Meroni, Attilio Romero, nel 2000 divenne presidente del Torino. La domenica successiva si giocò in un atmosfera irreale il derby tra la favoritissima Juventus e il Torino. Quella domenica il Torino vinse 4-0 con tre gol proprio di Nestor Combin, e il quarto gol lo segnò il giovane Alberto Carelli che quella domenica vestiva la maglia numero 7. Un ultima curiosità è un dato statistico strano, quando il Torino gioca il 15 ottobre o in un intervallo strettissimo a quella data vince o pareggia, non perde mai. La farfalla granata, soprannome dedicato a Gigi Meroni, vola. Vola solo più in alto in una dimensione diversa più pura consentita a chi è stato trasfigurato dalla leggenda.

Ettore Poggi

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