La prima banda partigiana: Italia Libera

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Cari vecchi Partigiani, siete stati degli eroi non tanto per la lotta armata, ma innanzitutto per il coraggio e la dignità di ribellarvi e dire no al potere autoritario e che in parte era anche guerrafondaio. Un ragazzo della guerra Partigiana”. Queste righe si possono leggere su un foglio appeso alla porta di una baita di Paraloup, letteralmente “difesa dai lupi”,  piccola borgata alpestre del comune di Rittana, paese appartenente alla valle Stura che si trova in provincia di Cuneo.

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Foglio visibile all’esterno di una baita della borgata Paraloup

 

 

 

Questo luogo a 1.360 metri di altitudine ha assunto una certa rilevanza storica poiché è stata la sede della prima banda partigiana di Giustizia e Libertà, una delle formazioni partigiane più numerose dopo le “Brigate Garibaldi”. Contraddistinti dal fazzoletto verde, gli uomini della brigata GL Italia Libera erano guidati da carismatici personaggi tra i quali Giorgio Bocca, Duccio Galimberti, Dante Livio Bianco e Nuto Revelli, per citarne solo alcuni.

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Pietra visibile all’arrivo al Quiot Rosa, importante punto di comunicazione

 

 

 

 

Il 20 settembre 1943 il primo nucleo partigiano organizzato in Piemonte (e probabilmente in Italia) si mosse verso la borgata Paraloup, ottimo punto di osservazione e di controllo sulla pianura cuneese. La borgata divenne presto un accampamento fisso e anche un punto di arruolamento, comprendente dormitori e mense.

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Le baite appartenenti alla borgata di Paraloup sono state ristrutturate ed in parte adibite a Museo della Memoria

 

 

 

La culla delle prime formazioni partigiane accolse centinaia di giovani impegnati nella Resistenza, uomini e donne accomunati da un unico ideale: la difesa dei propri territori per assicurare un futuro libero da ogni dittatura.

Oggi Paraloup, oggetto di un attento recupero architettonico grazie al contributo della fondazione “Nuto Revelli”, è facilmente raggiungibile con una breve passeggiata di 30 minuti dal Chiot Rosa, dove si può lasciare la macchina. Dal posteggio si aprono poi una serie di “Percorsi della Resistenza”, sentieri che solo settantanni fa erano percorsi da uomini e donne alla ricerca di libertà e di speranza, tutti con il desiderio di ricostruire un mondo migliore.

Maria 

 

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Anschluss: così Hitler si prese l’Austria

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Il 13 marzo 1938 si conclude il processo di annessione diretta dell’Austria alla Germania, il cosiddetto “Anschluss”. L’operazione, iniziata solo il giorno precedente, consiste nell’entrata in territorio austriaco da parte dei soldati tedeschi, nell’occupazione delle città e nell’assunzione del pieno controllo di tutte le funzioni statali. Le truppe austriache, nel complesso, non oppongono la minima forma di resistenza e l’Austria cade, fin troppo facilmente, nelle mani naziste, tra lo stupore dei gerarchi e dello stesso Fuhrer. L’Europa si limita ad un richiamo verbale, considerando tuttavia l’Austria quasi “un’estensione territoriale” della stessa Germania, mentre Mussolini avvisato con un telegramma dallo stesso cancelliere del Reich, si ritrova così l’esercito tedesco al Brennero. Per Adolf Hitler, l’Austria è una conquista territoriale fondamentale, per le seguenti ragioni. Primo, si tratta della sua nazione di origine, dato che egli nacque a Branau, un piccolo paesino austriaco di frontiera situato proprio al confine con il territorio tedesco: Hitler predilige fin da adolescente la Germania all’Austria, ne coglie la grandezza dello Stato e del suo popolo, la sua potenza intrinseca e il fascino del mito del “Volk”. Secondo, l’annessione è fondamentale per l’ampliamento dello spazio vitale tedesco: già nel suo Mein Kampf, Hitler elenca quali sono i passi necessari per espandere la Germania e farne così lo stato dominante in Europa e nel mondo. Terzo. in questo modo il dittatore tedesco può esercitare una forte pressione nei confronti dell’Italia, stanziando le proprie truppe alla frontiera sulle Alpi. L’Europa è ben consapevole che Hitler non si fermerà all’Austria, infatti nel giro di pochi anni verranno conquistate e annesse la Cecoslovacchia e la Polonia. Solo dopo l’invasione di quest’ultimo stato, avvenuta il 1 settembre 1939, l’Europa interverrà controllo il dittatore tedesco, ma sarà troppo tardi. Si sarebbe potuto prevedere e fermare Adolf Hitler? Si, sarebbe bastato leggere il Mein Kampf ed interpretarlo non come il suo diario di pensieri, ma come il suo programma politico che il Fuhrer metterà in atto punto per punto: invasioni, guerra, sterminio, genocidio. Ma, ad Inghilterra e Francia, faceva comodo in quel momento che uno stato forte, deciso, bellicoso si imponesse facendo da argine alla “preoccupante” potenza sovietica. Nessuno calcolò la furia e la non-follia di Hitler, ma il suo lucido e trasparente piano di morte e distruzione. L’Europa pagò a caro prezzo quest’errore perdendo, per sempre, il ruolo di continente egemone, a favore degli Stati Uniti.

Per ora, Hitler sfila sulla sua auto scoperta, tra ali di folla festante, il suo cuore trabocca di gioia e di vendetta, ci è riuscito: quel ragazzotto austriaco che vagabondava per le strade senza una meta, schivato da tutti, mai apprezzato per il suo talento da artista che egli pretendeva di avere, quel ragazzotto ora è acclamato e osannato da tutti. Per un attimo il Fuhrer penserà che gli può bastare così, ma è solo un momento, la Cecoslovacchia torna nei suoi occhi.

Roberto Rossetti

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I Monuments men: la storia recuperata

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Circa trecentoquarantacinque persone tra uomini e donne appartenenti a tredici nazionalità diverse prestarono, tra il 1943 ed il 1951, servizio presso la sezione Mfaa (Monuments, Fine Arts and Archive Program): il loro compito, approvato da Roosevelt e Churchill, era quello di penetrare nel cuore dell’Europa in balia dei nazisti e fare la caccia al tesoro più grande mai esistita: recuperare tutte le opere d’arte saccheggiate da Hitler. Questi eroi passarono alla storia come i Monuments men, gli uomini dei monumenti.
Nel 1943 americani ed inglesi istituirono la Mfaa; nella primavera dell’anno successivo si verificò il primo incontro in Gran Bretagna, dove a Shrivenham venne istituito il campo base per gli addestramenti militari: gli eroi dell’Mfaa erano per lo più intellettuali ed artisti, direttori di musei ed esperti di arte, senza alcuna cognizione militare.
Dopo essere sbarcati in Normandia con le altre truppe ad inizio giugno del ‘44, i Monuments men cominciarono a raggiungere castelli, chiese e conventi dove appesero il famoso cartello riportante la scritta “Off limits. A tutto il personale militare: edificio storico!” e cominciarono una serie di interrogatori coinvolgendo parroci, direttori di musei e gente locale per capire dove le opere potessero essere state trasportate e nascoste.
Molte delle opere del Louvre furono portate dai nazisti nel castello bavarese di Neuschwanstein; la struttura conteneva talmente tante opere d’arte che i Monuments men ebbero bisogno di sei settimane per poterle recuperare tutte. La vera sorpresa fu tuttavia quando nella miniera di salgemma di Altaussee, in Austria, furono ritrovati nel ’45 ben 6.500 quadri, statue e opere minori. Tra quel tesoro artistico venne ritrovata anche la Madonna con Bambino di Michelangelo, l’unica scultura dell’artista toscano ad aver lasciato l’Italia mentre lui era ancora in vita, nel 1506. Furono ritrovate nello stesso luogo anche delle casse con bombe inesplose al loro interno, questo per facilitare la cosiddetta Operazione Nerone: in caso di disfatta, l’ordine di Berlino era quello di fare esplodere tutto e privare l’intera umanità del tesoro artistico europeo.
Tutte le opere ritrovate vennero portate alla centrale istituita dagli Alleati a Monaco: da qui iniziò una difficile attività di individuazione dei proprietari e di restituzione, operazione tutt’oggi ancora in corso e tutt’altro che vicina alla conclusione.
E’ grazie al lavoro di questi eroi che possiamo apprezzare ancora oggi capolavori di grandi artisti come Leonardo, Donatello, Vermeer e Rembrandt.

Maria

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